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Archivio di Stato di Firenze

Il viaggio a Istanbul di Michelangelo Tilli (1683-1685)

Michelangelo Tilli (1655-1740), all’epoca un giovane promettente medico, allievo di Francesco Redi, destinato negli anni successivi a una carriera di rilievo come docente dello Studio pisano e insigne scienziato e botanico, fu inviato da Cosimo III agli inizi del 1683 a Istanbul, accompagnato dal chirurgo Pasquali, a curare un importante personaggio della corte ottomana, il pascià Mussaip, genero del sultano, proprio mentre infuriava la guerra che culminò con l’assedio di Vienna e la successiva sconfitta ottomana.

Durante il suo lungo soggiorno nei territori dell’Impero ottomano, contraddistinto da frequenti spostamenti al seguito del Pascià e dell’esercito ottomano nel quale quest’ultimo rivestiva un alto grado di comando, Tilli invia a Firenze lunghe lettere, che sono spesso delle vere e proprie approfondite relazioni sulle condizioni politiche e militari dell’Impero ottomano e sulle vicende spesso drammatiche che si susseguono in rapporto alla guerra che si stava combattendo per mare e per terra in Europa. È così testimone diretto della situazione di sconcerto e confusione che nelle fila turche segue la sconfitta di Vienna, e delle drammatiche epurazioni che colpiscono i vertici dell’esercito e dello Stato.

Ottenuta licenza dal Pascià, che sembra avesse fortunatamente tratto giovamento dalle cure prestategli, i due medici toscani possono finalmente far rientro a Firenze nell’aprile-maggio 1685 e presentarsi a corte a rendere omaggio al Granduca. Subito dopo, come ricompensa per il buon esito della sua delicata missione, Tilli fu nominato lettore di botanica presso lo Studio pisano.


Istruzione di Cosimo III de’ Medici a Michelangelo Tilli per il viaggio a Costantinopoli, 13 gennaio 1683 (ASFi, Mediceo del principato, 1605, n. 243)

Nell’Istruzione sono espressi anche i desiderata del Granduca per eventuali regali che gli si volessero fare da parte del sultano turco: “qualche bel cavallo turco di tutta perfezione” oppure “uno schiavetto circasso di buona mina e di bell’indole da potersi educare nel suo servizio”; non sarebbero però sgradite anche una statua greca o latina antica di marmo o bronzo oppure una partita di medaglie antiche, sapendo che di queste cose in Asia giornalmente se ne trovano e che i Turchi “non le stimano”.

Lettera di Michelangelo Tilli al segretario granducale Apollonio Bassetti, Livorno, 22 giugno 1685 (ASFi, Mediceo del principato, 1606, n. 170)

Tilli, che nel suo lungo viaggio di ritorno è appena giunto a Livorno a bordo di una nave inglese, si dice spiacente di non poter soddisfare la richiesta del Granduca di presentarsi a corte ancora vestito “alla levantina” per così appagare la “curiosità di ciascheduno”. Infatti già a Malta si era rasato la barba e disfatto dell’abito, dato che per il gran caldo non era possibile portare le “brachette di panno, berrettone di pelle e suo accompagnamento” soliti portarsi nell’estate a Costantinopoli, dove “del continuo regna una fresca tramontana”.