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Archivio di Stato di Firenze

Presentazione

In occasione della Giornata nazionale del Paesaggio, istituita con D.M. del 07 ottobre 2016 n. 457, e per celebrare la ricorrenza del 25° anniversario della Convenzione del Paesaggio del Consiglio d’Europa, l’Archivio di Stato di Firenze propone una mostra virtuale sui graffiti visibili, per alcuni tratti, lungo i muri che delimitano alcune vie di grande interesse paesaggistico del contado fiorentino. Queste vie e viuzze, punteggiate da tabernacoli, attraversano le colline, passano attorno alle ville, scendono e salgono come in un moto ondoso e creano nel paesaggio una sorta di fregio miniato, degna cornice alla città di Firenze.

Sviluppare una cultura e una sensibilità al paesaggio implica l’adozione di uno sguardo minuzioso e attento, in grado di cogliere questi graffiti incisi nell’intonaco dei muri e rilevarne le corrispondenze e le analogie con le architetture, le geometrie delle facciate delle chiese, il profilo dei campi, le onde del mare e del fiume, gli astri (come nel graffito del sole che sorride al viandante).

Un paesaggio reale o immaginario, naturale o urbano, colto nelle sue linee essenziali e inciso nell’intonaco, ma anche un sistema viario di antica origine, integro e immutato, già rappresentato nelle Piante dei Capitani di Parte Guelfa del XVI secolo, nelle Piante dello Scrittoio delle Regie Possessioni del XVII-XIX secolo, nelle mappe del Catasto Generale Toscano del XIX secolo. Una memoria nella memoria - la memoria del paesaggio incisa nella memoria dei percorsi dei popoli del contado fiorentino - è la nostra proposta per celebrare la giornata nazionale dedicata al paesaggio.

I muri graffiti perché

L’attenzione per queste forme artistiche è sempre stata molto presente anche tra i poeti che vissero nel capoluogo toscano. Ce ne parla Gabriele d’Annunzio ne La vita di Cola di Rienzo, che ricorda quando, nelle sere d’ottobre, tra l’Affrico e il Mensola, tra il pian di San Salvi e il poggio di Maiano, tra Rocca Tedalda e le Gualchiere del Girone, i muri graffiti lungo le strade e le case dei poderi e i mucchi delle selci splendevano “di non so che candore interno e tacito”. E sempre D’Annunzio ne parla ne Il libro segreto di Gabriele d’Annunzio tentato di morire, suo diario autobiografico scritto nel Vittoriale degli Italiani nel 1935, in cui ripensava, o meglio riviveva, certi vespri fiorentini sul Campo di Marte “in vista di Fiesole laureata tra una chiarità di muri graffiti”. Ma ne parla anche Giorgio Luti in Un’idea di Firenze in Giorgio Luti, Ricordanze. Memorie di gioventù e riflessioni semiserie di un vecchio letterato fiorentino. Alle pp. 13 e 15 leggiamo “piazza Beccaria era un punto fermo dei miei vagabondaggi: di lì partivano le antiche strade raccolte e silenziose … Ma altre voci contemporaneamente giungevano a convincere la nostra ansiosa ricerca della dimensione segreta della città in quegli anni. C’erano le colline a disegnare il profilo delle periferie, sopra Careggi e sopra il Salviatino, su verso Fiesole; e ancora più sorprendenti le improvvise strade in salita nate dal cuore della città e subito proiettate in alto verso i colli, dall’Arno verso uno spicchio di cielo che s’intravedeva tra i muri graffiti e le case toscane distese nel verde: Costa San Giorgio, l’Erta Canina, via Toscanella, via San Leonardo; insieme il sapore ancora vivo della città e la libera ascesa ai contrafforti dei colli”. 

Nel nostro caso l’attenzione ai graffiti nasce dall’idea - già proposta da Lando Bartoli e Renzo Ghiozzi nel 1981 - che al di fuori della cerchia delle mura fortificate, il colloquio con la natura si faccia più intimo e profondo. È qui che il rigore geometrico che l’architettura deve rispettare nella città murata viene abbandonato per seguire l’andamento della morfologia del territorio e le sue destinazioni altre, e sembra di cogliere quasi una componente organica che fa sì che anche le ingiurie del tempo non incidano sulla sostanza architettonica.  Della tecnica dei graffiti ci parla già il Vasari nella introduzione alle “Vite”, da cui sappiamo che essi ebbero grande diffusione nel XVI secolo in tutta Europa e soprattutto nell’Europa del nord, costituendo quasi il battistrada dell’architettura manieristica. In realtà, sembra che essi siano stati concepiti quasi d’istinto da alcuni artigiani esperti nella tarsia marmorea o lignea e proiettati in quello spazio aperto della città che si offriva ai suoi abitanti nei tempi di pace e che nei tempi di guerra e di epidemia era anche il luogo in cui cercare aria e clima più sicuri a beneficio della salute e per aver salva la vita.

In sostanza, per Bartoli si tratta della stessa tecnica artistica che ritroviamo nel “bel San Giovanni”, in San Miniato al Monte, nella Badia Fiesolana e negli arredi sacri di tanti altri luoghi religiosi della città e del contado fiorentino. Si tratta per lo più di temi geometrici trattati, come scriveva Bartoli, con estro fantastico e con una sensibilità unita all'abilità nell’uso della riga, della squadra e del compasso, che ritroviamo anche nei temi geometrici che decorano i pavimenti del Battistero, del San Miniato al Monte, del fronte della Badia dei Roccettini e in altri edifici religiosi coevi di Pistoia, Prato, Pisa e Lucca. E quando l’estro fantastico sembra prevalere, viene da pensare a quelle componenti musicali richiamate da Paul Klee nella sua “Teoria della forma e della figurazione”. D’altra parte, l’architettura fiorentina del XV secolo, come ricordava L. B. Alberti, ebbe impostazione sulle proporzioni dei numeri che regolano l’armonia musicale. Se pochi quindi dovevano essere capaci di afferrare i valori compositivi strutturali ed espressivi di un intero complesso architettonico, tutti dovevano rimanere incantati dalla varietà e dall’armonia dei temi decorativi dovuti a una notevole fantasia, conoscenza della geometria e a una non comune abilità pittorica.