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Archivio di Stato di Firenze

Rovezzano

Il campo di concentramento di Rovezzano

Il secondo campo di concentramento della provincia di Firenze fu istituito nella frazione fiorentina di Sant’Andrea a Rovezzano nel castello-villa denominato “Castello Montalbano”, di proprietà del Cavaliere Osvaldo Pardo, che risiedeva nella vicina località “Loretino”. A seguito del sopralluogo effettuato dalla prefettura, lo stabile era stato valutato in “ottime condizioni”, adatto per l’internamento di confinati politici, anche perché situato su un poggio e completamente recintato, dunque facilmente vigilabile [Fig. 1-2]. Tuttavia, la previsione che il castello fosse pronto all’uso, si rivelò quanto mai affrettata [Fig. 3]. Infatti, la documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze rivela che l’immobile fu soggetto a ripetuti lavori di manutenzione e adattamento nel corso degli anni in cui servì da campo di concentramento. Fu necessario ripristinare gli infissi interni ed esterni, installare un impianto elettrico e i servizi sanitari, nonché attrezzare l’edificio per l’alloggio di un numero elevato di persone. Per questioni di sicurezza, fu inoltre necessario installare anche una linea telefonica, poiché persino la vicina caserma dei carabinieri si serviva di una linea telefonica privata e disponibile in orari limitati [Fig. 4].
Questa situazione di precarietà ritardò l’entrata in funzione del campo, che fu dotato di brande, materassi e biancheria solo a dicembre 1940, quando ancora sembrava incerta la destinazione d’uso del campo [Fig. 5]. Infatti, al tempo, una comunicazione del Ministero dell’Interno informava la prefettura di Firenze che Castello Montalbano avrebbe svolto la funzione di campo di concentramento femminile e chiedeva di indicare una donna del posto “capace e di indiscussa moralità”, disposta ad assumere la direzione del campo [Fig. 6]. 
Tuttavia, i fascicoli personali degli internati a Rovezzano escludono la presenza di donne nel campo. I primi internati vi arrivarono nella primavera del 1941: si trattava di italiani e jugoslavi, il cui numero totale oscillò costantemente tra 30 e 50 [Fig. 7].
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 la maggior parte degli internati, quasi tutti jugoslavi, abbandonò il campo, che però continuò a funzionare come campo provinciale per italiani “ariani” rastrellati nella Repubblica Sociale Italiana fino alla liberazione nell’estate del 1944.