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Archivio di Stato di Firenze

Bagno a Ripoli

Il campo di concentramento di Bagno a Ripoli

Nel maggio 1940 la Prefettura di Firenze informava l’Ufficio tecnico erariale dell’esigenza di prendere in affitto Villa La Selva “per specialissime esigenze di polizia” [Fig. 1]. Lo stabile, situato a Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze, era di proprietà dell’ebreo Silvio Ottolenghi, emigrato in Palestine in seguito all’emanazione delle leggi razziali del 1938. Il 6 giugno 1940, con l’insediamento di sei agenti dell’arma dei Carabinieri, Villa La Selva diventò un campo di concentramento, adibito all’internamento di civili italiani e stranieri ritenuti pericolosi nelle contingenze belliche.
Fino ad ottobre 1940, i dieci norvegesi internati nella villa usufruirono della mensa del vicino ricovero per poveri di Santa Teresa, ma poco dopo fu necessario commissionare il vitto ad un fornitore esterno. Alla fine dell’anno, infatti, si contavano già 120 internati di varie nazionalità: inglesi, greci, danesi, turchi, jugoslavi, russi, polacchi, ungheresi, tra cui anche molti ebrei (si veda annapizzuti.it).
Nonostante il sussidio giornaliero garantito dal Ministero dell’Interno agli internati riconosciuti come “indigenti”, o i “pacchi viveri” inviati dalla Croce Rossa, le condizioni di vita all’interno del campo rimasero molto difficoltose [Fig. 2]. Come in molti altri campi, gli internati soffrirono per il sovraffollamento, la scarsità e la cattiva qualità del cibo, come anche per la mancanza di stufe e coperte, o per gli impianti idrici e sanitari inadeguati per un numero così elevato di internati.
Il campo di Bagno a Ripoli continuò a funzionare anche dopo l’8 settembre 1943, nonostante le clausole armistiziali imponessero la liberazione degli internati. A dicembre dello stesso anno, Villa La Selva diventò campo provinciale per ebrei rastrellati nella Repubblica Sociale Italiana, entrando a far parte della macchina di deportazione e sterminio nazista. Il campo fu liberato da un’azione partigiana il 9 luglio 1944, in seguito alla quale tutti gli internati si allontanarono [Figg. 3-6].