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Archivio di Stato di Firenze

La moglie

Su monna Gemma, la moglie di Dante, si conoscono più particolari. Figlia di Manetto Donati, apparteneva ad una antica e importante famiglia magnatizia che risiedeva nell’immediato cerchio di vicinato degli Alighieri, ovvero nella medesima parrocchia di S. Martino del Vescovo, e che era a capo, all’interno dello schieramento guelfo, di una fazione, i “Neri”, che grazie all’appoggio del papa riuscirà a prendere il controllo del Comune. Questa parentela “pesante”, non impedì a Dante di militare nello schieramento politico opposto, i “Bianchi”, né lo salvò dalla condanna e dall’esilio quando i “Neri” presero il potere.

La sorte di Gemma rimase legata a quella del marito. Le fu risparmiato l’esilio, ma dovette subire il sequestro di tutti i beni di famiglia, compresa la sua dote.
Tuttavia, l’ordinamento fiorentino in materia di beni di ribelli, prevedeva che alle legittime consorti di coloro che erano stati colpiti dalla condanna e dal sequestro dei beni, potesse venir corrisposto una sorta di “assegno di mantenimento”, calcolato in percentuale sul valore dei beni dotali, che, essendo entrati a far parte della disponibilità del marito al momento del matrimonio, rimanevano però sequestrati.
Nell’agosto del 1329, otto anni dopo la morte di Dante, messer Guglielmo de’ Magnani, giudice dei beni dei ribelli, registra la richiesta di «domine Gemme vidue uxori olim Dantis Allagherii et filie condam domini Manetti domini Donati». Per sostanziare la propria richiesta, Gemma presenta al magistrato una copia autentica del suo instrumentum dotis, in pratica l’atto di matrimonio, che era stato rogato da ser Uguccione di Baldovino il 9 febbraio 1276 (immagine n. 8).
Rimasta a Firenze a occuparsi dei figli piccoli, Gemma non raggiunse mai il poeta nell’esilio. Sulla vita di questa donna in questo periodo ci sono pochi altri documenti, a parte le notizie, abbastanza malevole, fornite da Boccaccio nella sua biografia di Dante. Non dovette essere una vita semplice. Nel 1315, sua madre, Maria, morendo le lasciava un legato in denaro a patto però, che lei liberasse i parenti di parte Donati dall’obbligo di garantire i debiti lasciati insoluti dal marito Dante. Nel novembre 1332, la troviamo a prestare il proprio consenso alla vendita fatta dai figli, Iacopo e Pietro, di alcuni terreni di famiglia; ancora nel giugno del 1334 nominava un procuratore per richiedere nuovamente agli Ufficiali dei beni dei ribelli il pagamento dell’assegno di mantenimento (immagine n. 9).
Il 9 gennaio 1343, il figlio Iacopo riscattò dal Comune alcuni dei terreni sequestrati al padre, anche in qualità di erede della madre (ASFi, Camera del Comune, Camarlinghi entrata, 1bis, c. 114v), per cui dobbiamo dedurre che a tale data Gemma fossa già deceduta.