Nessuna fonte ci testimonia in modo certo quali fossero le reali fattezze di Dante.
In ASFi si conservano due piccoli ritratti del poeta. Sono in realtà poco più di due maniculae, ma appaiono molto chiare nel dettato iconografico e sono accompagnate da una vignetta che non consente dubbi. Dante è effigiato stante di tre quarti, o quasi di profilo, con gli abiti che tradizionalmente gli sono attribuiti dall’iconografia di genere e nella sinistra tiene il libro, ovviamente la Commedia, aperto davanti a sé.
Dal punto di vista iconologico queste immagini, soprattutto la prima, quella a colori, ricordano molto da vicino il ritratto di Dante rappresentato nel famoso dipinto di S. Maria del Fiore.
Quello che rende queste immaginette significative è la loro collocazione. Esse, infatti, evidenziano il nome di Dante iscritto negli elenchi ufficiali di coloro che hanno ricoperto la carica di Priore.
Riprendendo certamente norme antecedenti, gli Statuti del Capitano del 1322 disponevano che il notaio delle Riformagioni, ovvero il notaio dei consigli legislativi del comune, riportasse su un registro in pergamena, tenuto in doppio originale, i nominativi di tutti coloro che dal 1282 in avanti avevano ricoperto la carica di Priore e di Gonfaloniere di giustizia.
I due originali erano destinati a essere conservati, uno presso la Camera del Comune (il più antico archivio comunale che in qualche modo ne costituiva l’archivio generale) e l’altro presso l’ufficio dello stesso notaio (il futuro Archivio delle Riformagioni, che costituirà essenzialmente l’archivio politico del comune). Entrambi questi manoscritti erano pubblici e chiunque poteva chiederne copia. Il carattere di ufficialità e di pubblicità dei “prioristi” (come tali registri saranno chiamati in seguito) venne ribadita ancora negli Statuti del 1415.
Dante è l’unico priore la cui presenza nei due registri venga così solennemente evidenziata. Questo aspetto testimonia l’eccezionale fortuna raggiunta dal poeta e anche la sua definitiva riammissione alla cittadinanza fiorentina.
La vera immagine, ovvero: ma Dante aveva la barba?
Il più antico “presunto” ritratto di Dante, ovvero l’affresco di scuola giottesca che orna la cappella del podestà nel Palazzo del Bargello, costituisce il capostipite dalla tradizione iconografica dantesca: palandrana rossa, berretta, nasone, bazza lunga etc.
Giovanni Boccaccio, il più importante dei biografi danteschi, e per molti aspetti il meglio documentato, offre però, unico tra tutti i biografi antichi, un ritratto del poeta che contraddice in parte quello giottesco:
Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura e, poi che alla matura età fu pervenuto, nandò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito in quello abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi ché piccoli, le mascelle grandi e dal labro di sotto era quel sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso […].
(G. Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, XX. Fattezze e costumi di Dante, 1362. Leggilo online)
Qui si espone un’interessante interpretazione novecentesca dell’artista Ardengo Soffici delle parole di Boccaccio, accanto ad una rara cartolina che riporta un frammento di affresco ravennate che ritrae un Dante “giovane” e con una piuttosto evidente traccia di barba scura sulle guance, che forse rende giustizia dei due opposti ritratti, quello giottesco, molto idealizzato e quasi senza età, e quello boccacciano, forse più concreto e certo di un uomo più maturo e più provato dalle vicende della vita.