Durante le indagini emersero alcuni episodi precedenti alla lettera inviata da Vincenzo Peruggia all’antiquario fiorentino Geri, colui che avrebbe portato all’effettivo ritrovamento del dipinto e all’arresto di Peruggia.
Vincenzo Peruggia custodì la Monna Lisa nella sua camera parigina per circa due anni e tre mesi, dal 1911 al 1913.
Quando iniziò a realizzare che riportare il quadro in Italia non sarebbe stato così semplice, nel luglio 1913 decise di fare un viaggio a Londra. Secondo quanto emerge dagli interrogatori, Peruggia sarebbe partito mosso non tanto dal desiderio di piazzare il dipinto, quanto dalla volontà di chiedere consiglio in un Paese, l’Inghilterra, che gli pareva poter essere neutrale. A Londra si recò quindi presso il negozio d’antiquariato dei fratelli Duveen in Old Bond Street, strada nota per le gallerie d’arte e le case d’asta, e qui raccontò per intero la sua vicenda, ottenendo dall’antiquario il suggerimento di restituire il dipinto al legittimo proprietario, il Louvre.
Il 5 ottobre 1913, Peruggia scrisse una lettera al candidato politico del suo collegio, l’on. Lucchini, chiedendogli di intercedere presso la Società Leonardo Da Vinci, che credeva stesse raccogliendo le opere di Leonardo in Italia, affinché gli fornissero una somma a compenso delle spese sostenute per recuperare la Gioconda. Nella lettera si presentava come un influente elettore del collegio di Gavirate e si firmava “Monsieur P. P.”.
Successivamente, il 25 novembre, scrisse a un tale Corvisieri, altro antiquario, stavolta di Roma, facendogli una proposta molto simile a quella presentata all’antiquario fiorentino.
In tutte le lettere viene ripetuto il desiderio che la Gioconda torni in Italia, anzi a Firenze, dove nacque, e possibilmente alle Gallerie degli Uffizi. Parimenti nelle lettere compare sempre anche l’accenno al compenso economico.
Nessuno di questi tentativi tuttavia portò a un risultato concreto, né ad offerte di acquisto.