Fin dal primo interrogatorio in Questura, subito dopo l’arresto avvenuto il 12 dicembre 1913, Peruggia confessò di aver commesso il furto e di aver agito da solo. Negli interrogatori successivi rimase sempre coerente nella sua versione dei fatti, ribadendo di non aver avuto alcun complice e di essere entrato e uscito da solo, fingendosi un operaio in servizio nel museo, quale era effettivamente stato nei mesi antecedenti.
Dalla stanza di albergo in cui alloggiava Peruggia, in seguito alla perquisizione, vennero sequestrati una valigetta e una cassa di legno grezzo bianco con un doppio fondo, contenenti effetti personali, biancheria, attrezzi da lavoro, la chiave dell’appartamento di Parigi e due lettere di Alfredo Geri.
Le indagini si mossero verso due direzioni: da una parte si stabilirono contatti con la polizia francese, e nello specifico con il commissario che aveva svolto le indagini all’indomani del furto, interrogato in qualità di testimone e sottoposto a un serrato confronto con l’imputato; dall’altra vennero coinvolte le autorità di Dumenza, paese natale dell’imputato, per appurare l’eventuale complicità nel furto da parte di parenti e amici residenti a Parigi.
La Procura di Firenze ricevette dunque la documentazione relativa alle indagini condotte dalle autorità francesi. Furono inserite nel fascicolo processuale la copia conforme del rapporto della polizia francese del 29 novembre 1911 relativo alle indagini sugli operai che avevano lavorato al Louvre, il rapporto del custode del museo che aveva scoperto il furto, oltre alle fotografie della cornice dalla quale era stato asportato il quadro e della sala del museo priva dell’opera.
Da Dumenza invece giunsero i verbali degli interrogatori a cui furono sottoposti il padre e alcuni amici che avevano convissuto con l’imputato a Parigi. Le perquisizioni effettuate dai Carabinieri portarono al sequesto di alcune lettere scritte dall'imputato alla famiglia e di una cartolina inviata da Firenze all’amico Vincenzo Moro. Il tenente dei Carabinieri di Luino, Angelo Barisone, espresse fin da subito i suoi sospetti su Vincenzo Moro e ipotizzò inoltre che a custodire il quadro fosse stato Vincenzo Lancellotti, altro amico intimo di Peruggia, come confermato poi da quest’ultimo negli interrogatori successivi.
Nel frattempo giunsero, in tempi e a destinatari diversi, alcune lettere anonime, contenenti accuse e illazioni, alle quali evidentemente non venne dato credito da parte degli inquirenti. In una lettera inviata al direttore del Nuovo Giornale si metteva addirittura in dubbio l’autenticità dell’opera, mentre in un’altra lettera ricevuta da Poggi veniva tirato in ballo un fantomatico “avventuriero che ha viaggiato tutto il mondo in compagnia d’una donna che faceva la cuoca in una bettola”, dedito al furto di opere d’arte.