Il nostro incontro con i graffiti inizia dall’area della villa reale di Castello a nord-ovest di Firenze, al confine con Sesto Fiorentino, che deve il nome proprio alle cisterne e serbatoi d’acqua (castellum) dell’antico acquedotto romano che raccoglieva le acque della Val di Marina e delle sorgenti della campagna sestese.
Prima di passare al ramo di Cosimo I, il quale palesò subito che la sua concezione di villa prediligeva uno stretto rapporto con l’ambiente naturale, la villa appartenne al ramo mediceo di Lorenzo il Popolano. Nella mente dei proprietari la villa di Castello doveva diventare l’antagonista di quella di Careggi, e si provvide così a impreziosirne gli interni con opere di grandi artisti quali Sandro Botticelli, Luca Signorelli e Filippino Lippi.
Nel 1498 la villa passò alla vedova di Giovanni il Popolano, Caterina Sforza, e al figlio Giovanni dalle Bande Nere, che vi risiedette con la moglie e il figlio Cosimo. Cosimo I ebbe un’affezione speciale per Castello: ne avviò la completa risistemazione e la pose al centro di un programma di propaganda politica che faceva del giardino uno strumento di glorificazione non solo della dinastia dei Medici, ma anche di Firenze e del nuovo Stato regionale toscano. In base a tali linee programmatiche, la natura collinare del luogo fu trasformata in una vera e propria opera di architettura sviluppata su due livelli di terrazzamenti con funzioni e forme diverse: nella parte inferiore il giardino nuovo o grande, regolare e geometrico, secondo i canoni di Leon Battista Alberti, destinato a divenire modello per tutti i giardini rinascimentali; in alto la selva, irregolare e boscosa. Al loro interno l’allegoria del Ducato affidata ai più grandi artisti del tempo con le sculture, i corsi d’acqua, le montagne rappresentate dall’Appennino dell’Ammannati (1563) e le città. Sotto Pietro Leopoldo il giardino avrebbe conosciuto una serie di lavori di ristrutturazione funzionale. Sarebbe stato poi Leopoldo II di Lorena a riunire le ville di Castello e di Petraia con un grande parco all’inglese e un viale carrozzabile
Esiste un itinerario delineato negli anni ’80 dal prof. Renzo Ghiozzi che da via Pietro Dazzi passa per via del Gioiello, poi per via dell’Osservatorio, via della Topaia, Via S. Michele a Castello, via buia della Covacchia e giunge fino a via di Bellagio.
Lungo la via, intitolata all’educatore Pietro Dazzi, si trova la villa di Quarto, nella zona collinare ai piedi del Monte Morello, ma a cui si accede anche dalla via del Gioiello. La villa risale al XV secolo e dopo vari passaggi di proprietà nel 1713 giunse alla famiglia Pasquali. In via Pietro Dazzi gli autori dei graffiti vollero raffigurare con stilo a una sola punta anche un guerriero con la sciabola e l’elmo piumato inquadrato in una serie di temi concepiti con fantasia. Colpisce anche l’armoniosa successione dei temi geometrici e la libertà con cui si trattano temi decorativi astratti formati da linee intrecciate e composte di spezzate e ondulate sapientemente distribuite.
Infine, lungo la via che inizia da via della Petraia, si trovano graffiti con gli stessi temi di altre vie: quelli di via Benedetto Fortini, di via della Villa dei Cedri (nell’area della Nave a Rovezzano), di Santa Maria a Marignolle (Galluzzo/Bellosguardo), del Pian de’ Giullari, del Giramontino, di San Matteo in Arcetri, così come in Piazza Bellosguardo, in via S. Ilario a Colombaia e in via del Paradiso, di cui solo alcune sono trattate in questa sede.
In generale i graffiti che ritroviamo sulle mura che delimitano l’itinerario non sono una mera riproposizione di temi già trattati con materie e magistero di più alta qualità. Si tratta di opere che attestano una propria vitalità espressiva il cui messaggio sembra agito da un impulso irrazionale e spontaneo capace di parlare ancora alla contemporaneità.
Per quanto riguarda la cartografia storica, sono chiaramente visibili nelle mappe del Catasto Generale Toscano la via del Gioiello, i cui muri graffiti delimitano il parco della Villa di Quarto, e la via dell’Osservatorio, divisa in due tronconi dalla via di Boldrone. Nel troncone superiore di via dell’Osservatorio, quello, per intendersi, in cui si trova la Chiesa di S. Maria a Quarto, i muri graffiti perimetrano da un lato il parco della villa La Petraia e dall’altro il Parco della Villa di Quarto.
I popoli sono quelli di Quarto e di Castello; il territorio apparteneva alla sez. C di Sesto Fiorentino, detta “di Castello e S. Silvestro”, passato poi alla comunità di Firenze. Via dell’Osservatorio compare anche nelle Piante dei Capitani di Parte Guelfa ed è facilmente riconoscibile perché ha mantenuto intatta la sua fisionomia nel corso dei secoli: al crocevia tra via dell’Osservatorio (che corre lungo la chiesa di S. Maria a Quarto) e via di Boldrone (che costeggia il monastero di Boldrone) è infatti rappresentato nella pianta il celebre Tabernacolo di Boldrone, tuttora visibile, che conservava al suo interno la Crocifissione del Pontormo, affresco staccato e collocato presso la sede dell’Accademia delle Arti e del Disegno.
Ancora più ricca di particolari la pianta dei Capitani di San Michele a Castello, con una rappresentazione in miniatura delle ville di Petraia, Castello, la Covacchia, il Casale e le chiese di S. Silvestro, della Castellina e di S. Michele a Castello. Queste architetture civili e religiose costituiscono ancora oggi dei punti di riferimento “paesaggistici” di un territorio che ha conservato, in quest’area, la sua originaria fisionomia. È interessante, tuttavia, coglierne anche i cambiamenti, soprattutto nelle colture, e a tale proposito appaiono di grande utilità ed interesse le Piante delle Regie Possessioni.
Il fondo delle Piante delle Regie Possessioni (XVII-XVIII sec.) è costituito di materiale cartografico prodotto dai tecnici dell’ufficio denominato “Scrittoio delle Regie Possessioni”, istituito da Cosimo I de’ Medici per amministrare il patrimonio di famiglia. Compito primario dello Scrittoio era quindi l’amministrazione delle ville, delle fattorie, degli opifici, dei poderi, delle botteghe, dei boschi di proprietà del Granduca.
In epoca lorenese fu effettuato un censimento delle proprietà tramite una ricognizione cartografica che portò alla realizzazione di numerose mappe e piante delle fattorie e rilievi architettonici dei palazzi, ville e fabbriche granducali.
Nella pianta raffigurante la “Bandita di Castello” del XVIII secolo - facente parte di un registro cartaceo dedicato alle piante delle Bandite di caccia e pesca site nei dintorni della città di Firenze - il paesaggio è descritto con grande accuratezza. Al centro della bandita campeggiano le ville di Castello, Petraia, Corsini e il “vignone”; sono indicati anche i corsi d’acqua (Mugnone, Terzolle, Zambra) e le chiese del territorio.
La pianta ci restituisce una panoramica del paesaggio nella sua integrità: ulivi, alberi da frutto, vigne, prati, bosco, geometricamente disposti sulla pianta quasi a riflettere un ordine cosmico colto nelle sue linee essenziali.
Alla pianta della bandita fa eco la “pianta delle vigne di castello” con i vari tipi di vitigni: il moscadello, il chiaretto, il trebbiano, il greco, ecc. Ed ancora i poderi dello “Steccuto” e dell’“Arco”, in prossimità della villa di Castello, e della “Ragnaia”, dal nome della ragnaia presente lungo il fosso che divide in due parti il podere: dalla collocazione del cimitero di Quarto, esso doveva forse situarsi tra via del Gioiello e la Petraia.
Dalla visione di queste piante si ricava una descrizione accurata delle colture: le viti, gli olivi, gli alberi da frutto, le piante nane, l’orto, ma ciò che più si impone allo sguardo sono ancora una volta l’ordine e la geometria, virtuosamente esibiti quasi a voler indurre stupore nell’osservatore.



