Dante Alighieri: tracce d'archivio (mostra virtuale)
L’Archivio di Stato di Firenze partecipa al Dantedì con una mostra virtuale in cui presenta alcuni dei più importanti documenti relativi alla vita del poeta, quali per esempio il famoso “Libro del chiodo”, ovvero il registro che riporta la condanna che esiliò per sempre Dante da Firenze, o il “Priorista di palazzo”, il registro che contiene l’elenco di coloro che rivestirono la carica di “priore”, la massima magistratura del Comune di Firenze nel Medioevo, che reca in corrispondenza del nome dell’Alighieri una miniatura che ritrae il poeta in piedi e con in mano un libro aperto, forse la prima testimonianza della fama ben presto raggiunta dal “padre della lingua italiana”.
Le carte raccontano l’appassionata partecipazione alla vita pubblica del tempo, che ha lasciato traccia nei volumi che registrano le presenze e gli interventi ai dibattiti nei consigli e nei collegi fiorentini, e che portarono alla condanna senza appello che Dante subì nel 1302.
La carriera politica di Dante è aperta dall’immatricolazione all’Arte dei medici e speziali, che accoglieva anche i cultori di studi filosofici. L’iscrizione era una tappa essenziale per la partecipazione alla vita pubblica, che è documentata principalmente intorno ai due bienni 1295-1296 e 1300-1301.
All’anno 1300, scelto dal poeta come inizio del viaggio della Commedia, risale la partecipazione a molti incarichi di rilievo, tra cui quello di ambasciatore nel mese di maggio, priore tra giugno e agosto, savio deputato a dare il suo parere sull’elezione dei nuovi priori nell’aprile del 1301, membro del consiglio dei Cento nei mesi seguenti.
È in questo momento che la vicenda cittadina si intreccia alla politica del papa Bonifacio VIII, che Dante nell’Inferno dannerà come simoniaco definendolo «lo principe d’i novi Farisei». Bonifacio cercava di sottomettere la regione al suo dominio, e tra gli atti del priorato di Dante c’è la condanna di tre banchieri fiorentini accusati di tramare per favorirlo. Non basta: nel giugno 1301 Dante, come membro del consiglio dei Cento, si oppone a una nuova richiesta avanzata dal papa di fornire aiuti militari per la sua guerra in Maremma.
Alle tensioni con il papa si sommano quelle tra le parti fiorentine dei Guelfi Neri, più favorevoli al papa, e dei Bianchi, tra cui il poeta, che si opponevano al tentativo di Bonifacio. Nel novembre 1301 però questi ebbero la peggio poiché Carlo di Valois, nominato da Bonifacio paciere per l’Italia, entrò a Firenze e, dopo qualche giorno di tumulti, destituì i priori in carica mettendo al vertice del Comune Cante Gabrielli da Gubbio. Questa nuova podesteria, vicinissima ai Neri, tra il gennaio e il marzo 1302 condannò Dante dapprima all’esilio e al pagamento di un’ammenda, poi alla pena di morte, sancendo per lui l’esilio senza speranza di ritorno.
Dopo questa data i documenti fiorentini che nominano Dante si fanno più rari, e la mostra lascia spazio a testimonianze delle vicende della famiglia e a una curiosità legata alla fortuna novecentesca del poeta.
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